Karo-Centro, il progetto di Karakorum, nato due anni fa con lo scopo di sostenere i negozi e i piccoli centri storici a rischio di abbandono, si sta evolvendo in qualcosa di più ampio. Attraverso una circolarità in grado di connessione, Antonio ha posto sotto un unico ombrello: i negozi dei piccoli centri, le associazioni che si prendono cura del territorio e l’attivismo nel sociale. Poiché tutti si ha bisogno di attenzioni e di cure, dal più piccolo al più grande!
E a proposito di prendersi cura, oggi incontriamo Leda, “fata” attiva sul territorio di Milano Ovest (dove ha sede proprio Karakorum) per I Bambini delle Fate, un’impresa sociale che dal 2005 si occupa di assicurare sostegno economico a progetti e percorsi di inclusione sociale gestiti da partner locali a beneficio di famiglie con autismo e altre disabilità.

Cara Leda, perché questo nome per I Bambini delle Fate?
L’origine del nome è custodita in antiche leggende celtiche, che narrano del “Popolo Buono”, un popolo che abita altrove, ma che è vicino a noi: elfi, gnomi, maghi e fate, quelle dei boschi e quelle delle acque. Si narra che le fate invidiavano le donne per la loro esistenza piena di calore, al punto da decidere di scambiare i loro figli con neonati umani, di cui assumevano le sembianze. I figli delle fate erano “fatati” e crescendo i bambini cominciavano a manifestare dei comportamenti “strani”, fuori dal nostro mondo. A quel punto la madre si rendeva conto dello scambio avvenuto e il bambino “differente” diventava un “bambino delle fate”.

Ci racconti un po’ come è nata e si è sviluppata questa impresa?
I Bambini delle Fate è stata fondata nel 2005, da una spinta propulsiva del suo fondatore Franco Antonello e di suo figlio Andrea, che a 2 anni ha ricevuto la diagnosi di autismo. Questa nuova situazione gli ha mostrato “il mondo con altri occhi e altri colori”, arrivando a traslare la sua vocazione di imprenditore dal mondo profit al sociale. L’impatto è stato notevole poiché I Bambini delle Fate si sviluppa strutturando progetti a lungo termine, scegliendo di affidarsi solo a piani di sostegno continuativi nel tempo. Non essendo una malattia, infatti, l’autismo non ha una cura, quindi si può solo lavorare sul comportamentale e cercare di tirare fuori le potenzialità di ogni ragazzo. Cosa che purtroppo non è sempre possibile per via delle difficoltà del sistema di sostegno fatto di associazioni, cooperative, istituti che offrono servizi di logopedia o psicomotricità, a cui non sempre però le famiglie riescono ad accedere.
Franco ha deciso di intervenire in prima persona fondando una vera e propria società, con cui è possibile programmare attività con continuità, accompagnando nel tempo questi ragazzi. Ad oggi ci sono 93 progetti attivi in Italia.

Se non ho capito male, il sostegno passa attraverso la campagna di raccolta fondi definita “Fare Impresa nel Sociale” proprio perché sono gli imprenditori che si impegnano a fare inclusione sociale. Ci puoi spiegare meglio?
Da molti anni, le aziende multinazionali si avvicinano al sociale per fare inclusione; le piccole aziende invece sono più timorose, non sapendo di poter fare la stessa cosa ottenendone un ritorno sia in termini di etica sia di visibilità e di circolo virtuoso. La volontà di tutti i progetti sostenuti attraverso questa impresa è di assicurare nel tempo che gli sforzi dello Stato, delle famiglie e dei privati donatori siano, dal punto di vista sanitario e sociale, realmente in grado di raggiungere lo scopo sostenendo una patologia così grave ed invalidante quale è l’autismo.

Cosa

Cosa cambia tra una sponsorizzazione regolare e una donazione una tantum in termini di servizi di sostegno?
Con I Bambini delle Fate le aziende non fanno beneficenza bensì impresa nel terzo settore. Un progetto, infatti, parte alcuni mesi dopo la firma dell’adesione delle singole aziende, perché è necessario verificare (in base al numero di adesioni) cosa effettivamente si possa fare: una casa di accoglienza, un corso sportivo, dei laboratori occupazionali e molto altro. Tutte le associazioni che ricevono i finanziamenti da I Bambini delle Fate per i loro progetti, hanno un conto dedicato per rendicontare come effettivamente vengano investiti i soldi ricevuti. Tutto è estremamente trasparente: ognuno può verificare come effettivamente sta andando il proprio investimento.
Ricordiamo che l’autismo è una condizione che fa parte di un complesso insieme di “modi di funzionare” (complessivamente definiti Neurodivergenze) e non è curabile: per questo è fondamentale sostenere progetti molto lunghi.

Quali progetti stanno nascendo in questa zona?
Il progetto di cui mi occupo e di cui sono innamorata da molti anni è legato a @Pizzaut. Da mamma di bambino autistico, di cui ancora non conosciamo l’evoluzione, sono profondamente grata ai progetti che prevedono l’inclusione occupazionale come questo, perché ci permettono di sperare che il suo futuro non sia in un istituto.
Ad oggi, si sa che se sull’autismo ci si lavora, possono aprirsi delle opportunità lavorative dopo i 18 anni, mentre fino a pochi anni fa, con questa diagnosi il ragazzo autistico era considerato non abile al lavoro. Quindi PizzAut, che di aut. ne ha assunti 35, rappresenta una vera rivoluzione. In Italia abbiamo 600mila autistici e ogni anno qui in Lombardia se ne registrano 1.600 nuovi casi: per questo è fondamentale offrire loro una prospettiva di inclusione, in particolare se territoriale. Dare la “territorialità” è un altro aspetto fondamentale de I Bambini delle Fate: con le nostre cosiddette “adozioni a vicinanza” ogni progetto è proprio sul territorio delle aziende che lo sostengono. Qui in Lombardia ce ne sono tre.

Un’ultima domanda: perché hai scelto di diventare una fata?
Lavoravo da tempo nel commerciale quando sono rimasta incinta del mio secondogenito Sebastian, che ha dato le prime avvisaglie di divergenze intorno ai 15 mesi. Da subito abbiamo cominciato coi controlli e ricevuto la diagnosi molto presto: praticamente uno tsunami! Da mamma, è stata una liberazione, perché potevo finalmente dare alla situazione un nome ed è stato importante. Per il papà è stata più dura, ma una volta metabolizzato abbiamo deciso di agire: dapprima lavorando con Sebastian, poi interagendo con altre famiglie. A questo punto è arrivata una sorta di necessità condivisa di lavorare per dare una prospettiva di futuro ai nostri ragazzi. Ho mandato la candidatura indicando come motivazione che sono la mamma di un ragazzo aut e di una ragazza omologata preadolescente ed ero pronta a partecipare a qualcosa di grande!

Grazie Leda.